fra Tommaso Acerbis da Olera (Bg)
frate cappuccino
sarà beatificato il 21 settembre 2013 a Bergamo
di Andrea Tornielli
C’è chi l’ha definito «il Padre Pio del Nord»: il cappuccino Tommaso da Olera verrà proclamato beato a Bergamo il 21 settembre 2013 dal cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione dei santi, dopo che lo scorso maggio Benedetto XVI ha autorizzato il decreto. Di certo si tratta di uno di quegli uomini di Dio la cui fama di santità si è diffusa ed è rimasta vivissima anche a distanza di secoli.
Tommaso Acerbis nasce sul finire del 1563 a Olera (Bergamo), un minuscolo paese della valle Seriana. Fino a 17 anni condivide con i genitori stenti e lavoro: fa il pastore di pecore e il contadino sui campi. Non frequenta scuole, perché il suo paese ne è sprovvisto. Al posto dei libri degli uomini egli legge con assiduità il libro della natura e matura la sua vocazione. Quando bussa alla porta dei Cappuccini del Veneto e viene accolto nel convento di Verona, è oramai un giovanotto. Durante l’anno di prova (1580-81) si rivela un «maestro e specchio della perfezione religiosa, anzi un colmo di ogni sorte di virtù», come scriverà di lui padre Giovenale Ruffini.
I cappuccini gli insegnano a leggere e scrivere, facendo eccezione alla regola di san Francesco che vietava espressamente a «quelli che non sanno lettere, d’impararle».
Nonostante potesse essere definito «illetterato», fra’ Tommaso comporrà trattati di mistica e ascetica che furono raccolti, diversi anni dopo la sua morte, con il titolo «Fuoco d’amore». Un testo amato e letto con assiduità da un altro bergamasco illustre, Angelo Giuseppe Roncalli.
«Papa Giovanni – ha raccontato il suo segretario Loris Capovilla – rileggeva frequentemente le pagine di questo “Fuoco d’amore”, che tenne sempre in evidenza sul suo tavolo, assieme ai libri di preghiera e di meditazione; anzi più volte me ne lesse copiose pagine, commentandole e pronunciando giudizi di alta stima e venerazione per il pio scrittore. Diceva che fra Tommaso doveva essere stato condotto certamente dallo Spirito del Signore a stendere pagine così limpide ed in conformità con l’ortodossa dottrina».
Al termine della rigida formazione, i cappuccini gli affidano il delicato ma oneroso incarico della questua: ogni giorno dovrà andare di porta in porta, chiedendo pane e vino per i frati e per i poveri del convento. Rimane a Verona fino al 1605, a Vicenza fino al 1612 e a Rovereto fino al 1617; nel 1618 è a Padova come portinaio; nel 1619 è richiesto dall’arciduca Leopoldo V nel Tirolo. Da allora fino alla morte starà nel convento di Innsbruck come frate della questua in città e dintorni.
Viene conosciuto come un vero apostolo. Percorre le strade della Serenissima, della Valle dell’Adige e quella dell’Inn come testimone fedele di un Vangelo annunciato sine glossa. Avvicina tutti, i grandi e i potenti, come gli umili. È un frate laico, non sacerdote, ma conquista ugualmente le anime, da «apostolo senza stola». Un ecclesiastico autorevole dirà di lui: «Pare incredibile che un semplice frate laico parli così altamente di Dio».
Allo stesso tempo è uomo della misericordia e di molteplici opere: interviene e rappacifica gli animi, visita e conforta gli infermi, ascolta ed incoraggia i poveri, scruta le coscienze e denuncia il male, parla e favorisce le conversioni dentro e fuori la Chiesa. Per ottenere da Dio quanto gli viene richiesto, passa le notti in preghiera, si flagella, s’impone digiuni e austerità. È un grande sostenitore della “santità al femminile”. Contribuisce ad erigere monasteri e conventi (per le cappuccine a Vicenza, per le clarisse a Rovereto).
Diventa consigliere dell’arcivescovo Paride Lodron, principe di Salisburgo, e segue la vita spirituale di Ferdinando II, imperatore d’Austria: gli sta accanto anche in occasione della guerra dei Trent’anni (1618-48) e gli predice con sicurezza che si concluderà a suo vantaggio. È amico e consigliere di Massimiliano I e della moglie Elisabetta, duchi di Baviera, residenti a Monaco. Alla loro corte favorisce la conversione di un luterano duca di Weimar (1620) e, durante un soggiorno a Vienna (1620-21), quella della luterana Eva Maria Rettinger. Dopo averlo incontrato, la donna, vedova trentacinquenne di Giorgio Fleischer conte di Lerchenberg, vende i beni, aiuta i poveri e sostiene i monasteri. Alla fine, si consacra a Dio tra le benedettine di Nonnberg (Salisburgo) e per alcuni anni ne diventa badessa.
Nei suoi scritti mariani attribuisce alla Madonna il doppio titolo di «Immacolata Concezione» e di «Assunta in cielo», che saranno oggetto delle definizioni dogmatiche del 1854 e del 1950. Suggerisce all’amico Ippolito Guarinoni di costruire una vero santuario mariano dedicato all’Immacolata: verrà innalzato a Volders, sulla sponda destra del fiume Inn, a 15 chilometri da Innsbruck. Sarà ultimato nel 1654 (cioè duecento anni esatti prima della proclamazione del dogma), e sarà la prima chiesa dedicata all’Immacolata in un territorio di cultura tedesca.
Fra Tommaso muore il 3 maggio 1631. Il processo di beatificazione si è svolto tra gli anni Sessanta e Ottanta. La Santa Sede ha riconosciuto un miracolo attribuito all’intercessione di fra Tommaso da Olera, la guarigione, avvenuta nella notte fra il 29 e 30 gennaio 1906, di Bartolomeo Valerio, 31 anni, di Thiene (Vicenza). Era stato colpito da ileotifo complicato da pneumonite ipostatica e versava in gravissime condizioni tanto che il respiro era ormai un rantolo. I suoi familiari misero sotto il cuscino un'immagine di fra Tommaso. L’infermo cominciò a respirare normalmente e guarì.
Da una lettera di fra Tommaso da Olera al dottor Guarinoni: Dobbiamo aspirare in Dio e in esso fermarci e riposare, il cui riposo dobbiamo cercare con ogni amore et ardore, nelle cui fiamme dobbiamo abbrugiarsi cercando con l’amore di maggiormente aggrandire queste ardenti fiamme soffiando in esse fiamme con un ardente respiro di una totale presenza di Dio, non solo virtuale, ma anche attuale, avendo la cara e desiderata presenza del suo Dio, unendosi con vincolo di amor puro con quel Dio che è tutto amore e ama senza misura e termini, cercando questo Dio entro l’anima nostra e con atti frequenti, volontari e filiali respirare in Dio, non volendo da esso Dio se non amarlo e servirlo, riputando gran gloria che si degni questo nostro Dio di esser amato e servito da noi creature cosí basse e vili, tenendo il cuore aperto per ricevere le divine spirazioni, stando vigilanti alla custodia dei sentimenti per mettere in pratica le divine spirazioni, acciò possiamo da uomini terreni divenir uomini celesti, mortificati, spropriati, morti al mondo, vivi al nudo Crocifisso, nelle cui piaghe, fratello carissimo, vi lascio .