I DANNI DEL SUPERFLUO
di Rosanna Virgili
L’incontro di Gesù con la cupidigia umana
ci ricorda che la nostra vita non consiste in ciò che possediamo.
“Un tale, dalla folla disse a Gesù: ‘Maestro, ordina a mio fratello che divida con me l’eredità’. Ma egli rispose: ‘O uomo, io non sono né un giudice, né un mediatore sopra di voi’. E
aggiunse loro: ‘Fate attenzione e guardatevi bene da ogni superfluo, perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non consiste in ciò che possiede’” (Lc 12,13-15).
Nella immensa vastità di incontri che Gesù fa nel suo viaggio terreno in Palestina, non potevano mancare quelli con persone che avessero interessi di soldi, di ricchezza, di eredità. Quello delle
risorse materiali è, infatti, un tema fondamentale nella vita di ogni popolo e razza, di ogni paese e civiltà e Gesù non si schermisce dal dare un consiglio e un giudizio.
Ogni padre lascia a suo figlio quanto egli stesso ha ricevuto dal padre e che - cumulato a ciò che col suo lavoro abbia potuto aggiungere- vada a formare la cosiddetta “eredità”: un tesoro
prezioso non solo per le generazioni presenti, ma anche per quelle future, vale a dire per i figli, così come per i nipoti e pronipoti. Quanto questo gruzzolo sia prezioso lo si vede dal problema
che nasce quando un padre ha due o più figli: a quel punto dovrebbe riuscire a dividere equamente tra loro.
Un compito così difficile che la maggior parte dei padri -ma anche dei popoli - è costretta a stabilire un diritto, a mettere in mezzo un super partes, un giudice o un mediatore. Rare sono le
famiglie in cui si vada d’accordo quando si fanno le cosiddette “divisioni”, non solo ieri, ma anche oggi, purtroppo! Proprio questo doveva essere il caso di Gesù quando incontrò i due fratelli:
essi volevano che Lui dividesse con giustizia la loro comune eredità.
La forza della cupidigia
Nella reazione del Signore interessanti sono le sfumature: innanzitutto Egli dice con chiarezza che non è un giudice di cose in solido e che non è venuto nel mondo per occuparsi di divisioni di
proprietà. Sono altre le competenze di Gesù, proprio come le cose di Dio son ben distinte e altrettanto distanti da quelle di Mammona. Il Figlio di Dio lascia all’uomo il campo della divisione
delle ricchezze, non avoca a sé l’autorità su queste cose. Un atteggiamento che dovrebbe essere di esempio per tutti noi cristiani e specialmente per i religiosi e i sacerdoti che -fedeli al modo
di fare del Signore - dovrebbero restare fuori dagli affari ereditari di ogni genere.
Al disinteresse per la ricchezza che i due fratelli dovevano spartirsi, Gesù contrappone una vera e propria cura verso l’inclinazione del cuore dei due uomini che incontra: “Fate attenzione e
guardatevi bene da ogni superfluo, perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non consiste in ciò che possiede”, Egli dice.
Gesù imita i due fratelli a sollevare lo sguardo da quei beni materiali e a vedere che in essi non c’è la vera “vita’’. Egli sente la forza della pleonexìa, vale a dire della cupidigia, del
superfluo per cui impazzisce il cuore dell’avaro. Per una strana e misteriosa inclinazione (o corruzione?) dell’animo umano, quanto più una persona possiede beni, tanto più avverte di volerne
accumulare altri. È la perdita del senso della misura e della necessità, della giustizia e della decenza dinanzi alle ricchezze e in mezzo ai propri simili.
In questo incontro ci siamo anche noi: anche noi siamo come due fratelli (o tre, o quattro, o qualche milione) che trascinati dalla passione furente della pleonexìa vorremmo essere legittimati
perfino dall’autorità di una parola di Dio. Il Signore non cade in questa trappola e spera che non vi cada neppure la sua Chiesa.
Le ricchezze dell’anima
Ma Gesù sa quanto sia importante e difficile entrare nel cuore dell’uomo dalla parte in cui sia già penetrata la cupidigia! E conosce la debolezza dell’essere umano di fronte all’abbacinamento
delle ricchezze. Per questo decide di dedicare ancora tempo e parole ai due fratelli. In men che non si dica il Maestro trova un esempio, un paragone che possa essere chiaro e convincente per i
due contendenti. “La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: ‘Che farò, poiché non ho dove mettere i miei frutti? Farò così: demolirò i miei magazzini
e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni, riposati, mangia, bevi e
divertiti!’. Ma Dio gli disse ‘Folle! questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?’. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce
presso Dio» (Lc 12,16-21).
Il caso si spiega da solo: nessuno può possedere la ricchezza più grande, cioè il tempo della propria vita! Nessuno può sapere quando arriverà la morte, ladra di giorni e di sogni, di intenzioni
e di progetti illusòri.
Con questa parabola Gesù mette in guardia dalla miopia sulla realtà che la ricchezza può provocare. Sicuro e avvolto nella sopraggiunta abbondanza. l’uomo ricco era nell’ovatta di progetti
edilizi che potessero custodire la sua immensa fortuna. La ricchezza venuta in una sola stagione, aveva dato al suo cuore il premio dell’eternità! In essa aveva tuffato la vita e immaginato il
futuro immortale della sua anima. Come se l’anima potesse cibarsi per sempre di quei beni, riposarsi su di un letto di metallo prezioso, trovare felicità in quella solitudine d’oro. L’uomo ricco
aveva fatto un errore mortale: dare all’anima un cibo materiale. No! Dice Gesù. La carne vive di pane, ma l’anima vive di Dio. Non si può sfamare l’anima con il cibo sbagliato.
Il fallimento dell’uomo ricco sta nel pensare che l’anima possa saziarsi di cose, di oggetti esteriori, di comodità, di esperienze a caro prezzo che titillano semplicemente sensazioni ed
emozioni. Tutto ciò può soddisfare i desideri di superficie, ma non le seti del profondo. L’uomo ricco ha pensato e fatto una cosa assurda: quella di riempire l’anima con il denaro, travisandolo
con un dio. L’anima ha bisogno di vita vera. Di essenzialità. Di una radice di eternità che vada oltre ogni materia. Di un approdo in cui possa ritrovare la fonte, di Qualcuno che la chiami e che
le riveli il mistero di cui essa stessa è tessuta. L’anima si sfama di un cibo spirituale, di un alimento che resta.
La voce che chiama quell’uomo e gli annuncia che “questa notte ti verrà chiesta la tua vita” è la voce della sua anima affamata e assetata di un’altra Vita.