per nutrire la fede …
SALMO 85 (84)
“MOSTRACI, SIGNORE,
LA TUA MISERICORDIA”
- Estate con i Salmi (7) -
2) Sei stato buono, Signore, con la tua terra, hai ristabilito la sorte di Giacobbe. 3) Hai perdonato la colpa del tuo popolo, hai coperto ogni loro peccato. 4) Hai posto fine a tutta la tua
collera, ti sei distolto dalla tua ira ardente.
5) Ritorna a noi, Dio nostra salvezza, e placa il tuo sdegno verso di noi. 6) Forse per sempre sarai adirato con noi, di generazione in generazione riverserai la tua ira? 7)Non tornerai tu a
ridarci la vita, perché in te gioisca il tuo popolo? 8) Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.
9) Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con fiducia. 10) Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme, perché
la sua gloria abiti la nostra terra. 11) Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. 12) Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo. 13) Certo, il
Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto; 14) giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino.
Il salmo appartiene alle lamentazioni pubbliche. Si tratta di preghiere comunitarie, al tempio, che si inserivano in cerimonie penitenziali occasionate da particolari calamità nazionali: guerre,
pestilenze, carestie. Elementi essenziali erano il digiuno (a cui tutti erano tenuti, piccoli e grandi) e alcuni gesti penitenziali come il vestirsi di sacco e cospargersi il capo di cenere, e la
preghiera di invocazione.
Nel salmo si susseguono tre motivi, che poi costituiscono anche le tre parti in cui il salmo viene comunemente diviso: lo sguardo al passato (vv. 2-4), l’invocazione per il presente (vv. 5-8), la
descrizione gioiosa del futuro (vv. 9-14). E’, questa, una struttura tipica della preghiera di Israele e, più ampiamente, della sua spiritualità. Occorre perciò - se si vuole capire il salmo -
fare molta attenzione al meccanismo che collega saldamente fra loro questi tre momenti.
Oltre alla struttura temporale, brevemente delineata, c’è un altro elemento strutturale di non minore importanza, e cioè il fatto che nella preghiera corale si inserisce un “a solo” (v. 9) e
all’invocazione del popolo viene data una risposta da parte di Dio.
Nell’angoscia della situazione presente - situazione che si intravede dietro l’interrogativo dei vv. 6-7 - il popolo medita sulla storia passata. E’ una meditazione che si fa preghiera. Il salmo
racconta a Dio ciò che egli stesso ha compiuto, quasi per ricordarglielo e per fargli notare la differenza fra la sua azione di un tempo e il suo silenzio di oggi. E questo per indurlo a
intervenire: lo stile di Dio non può essere cambiato! Il passato è ricordato perché è in esso - e non altrove - che Israele trova motivo di fiducia. Il passato rivela infatti che Dio è sempre
stato buono e fedele, ha anche punito ma mai a lungo, e non ha mai distrutto il suo popolo. Poggia su questa convinzione la speranza di Israele. Anche nel passato c’era il peccato, e tuttavia Dio
ha trattenuto la sua ira. Non è pensabile che oggi Dio faccia diversamente. La fedeltà di Dio, che Israele ha sperimentato nel passato, è un punto fermo.
Senza alludere a episodi particolari, le brevi frasi narrative della prima strofa descrivono la costante di tutta la storia di Israele (e non solo di Israele): da una parte, il peccato e
l’iniquità del popolo; dall’altra, il perdono di Dio, sebbene non elimini il giudizio (si parla, appunto, anche di sdegno e di ira), che non tarda mai a lungo. Se la storia, avanza verso la
salvezza e se - di conseguenza - Israele è autorizzato a sperare sempre, non è perché l’uomo cambia, ma perché Dio non cambia. Dio ha mostrato ripetutamente che la sua prerogativa più costante è
il perdono: “Hai perdonato l’iniquità del tuo popolo, hai cancellato ogni loro peccato”.
La seconda strofa si apre (v. 5) e si conclude (v. 8) con un’invocazione. Fra le due invocazioni sono inseriti tre interrogativi. Sono interrogativi retorici, che esprimono delle certezze e che
potremmo svolgere così: di certo la tua collera nei nostri confronti non dura per sempre, di certo la tua ira non si prolunga di generazione in generazione, certo tu vuoi ridarci la vita. Sono
appunto quelle certezze che si possono cogliere in una meditazione attenta della storia passata. Le due invocazioni chiedono due cose fra loro diverse, ma collegate: il perdono di Dio (“Placa il
tuo sdegno... mostraci la tua misericordia”) e la liberazione da una situazione di disagio (“Ristoraci... donaci la tua salvezza”). Il salmista è convinto che la situazione presente è frutto del
peccato e perciò la prima cosa da invocare è il perdono di Dio. La vita - la libertà, il benessere e la fraternità, la gioia di vivere - fioriscono solo dove c’è il perdono di Dio. Oltre le
invocazioni e gli interrogativi, c’è anche una professione di fede, brevissima e tuttavia molto significativa: “Tu nostra salvezza” (v. 5). E’ questo il succo della fede di Israele: Dio è la
nostra salvezza e non altri. Una salvezza che dunque va cercata in lui e non altrove: altrimenti sarebbe idolatria e, quindi, la rovina. La ricerca di una salvezza al di fuori di Dio è l’anima
nascosta di ogni peccato. Ritornare a credere seriamente che solo in Dio è salvezza è la vera conversione.
Nello svolgimento del lamento pubblico, dopo che il popolo aveva presentato i suoi lamenti e le sue richieste e dopo aver fatto propositi di rinnovamento, si inseriva - ed era la cosa più
importante ed attesa - la risposta di Dio. Il coro taceva e una voce (di un sacerdote, di un profeta, o di un uomo di Dio) pronunciava l’oracolo di risposta. Così è il v. 9 del nostro salmo:
“Voglio ascoltare ciò che dice Iddio: il Signore annuncia la pace”. L’oracolo è dunque favorevole: il Signore offre una parola di pace. E la pace - come si sa - è per la Bibbia il complesso di
tutti i beni di cui l’uomo ha bisogno: la vita, la libertà, la giustizia, la comunione con Dio. I diversi aspetti enumerati nei vv. 10-14 (la descrizione del futuro) sono, in un certo senso, i
diversi aspetti del concetto biblico di pace.
La risposta di Dio alle richieste del popolo non era scontata, non era sicura a priori. Come appare da alcuni passi biblici (cf. Am 7,8 e 8,2; Ger 14,10 e 15,14) la risposta poteva anche essere
un no. Qui è un sì. Il Signore offre la pace, ma a una condizione: “Per chi ritorna a lui con tutto il cuore” (v. 9). Dio parla di pace, ma la pace richiede la conversione del cuore. E il cuore
per la Bibbia è il centro della persona, il nucleo profondo dove avvengono le opzioni determinanti e dove si stabilisce la gerarchia dei centri di interesse. Il centro dell’uomo deve ritornare a
Dio, ripercorrere un cammino alla rovescia: è andato da Dio agli idoli, ora deve tornare dagli idoli a Dio. Il popolo e i singoli individui devono convincersi della verità della formula di fede
che è stata pronunciata (ma forse solo a fior di labbra, ritualmente): “Signore, nostra salvezza”.
L’azione di Dio nel passato garantisce che il suo silenzio, presente sarà di breve durata: “La salvezza è vicina” (v. 10); ma anche qui il salmista si affretta a precisare: “A chi lo teme”. Il
timore non è anzitutto la paura, ma l’obbedienza, il rispetto della volontà divina, nella convinzione che sottrarsi a questa volontà significa (e in questo senso si può parlare anche di paura)
cadere nella rovina.
Ad ogni modo, è chiaro che il salmista - pur sottolineando ripetutamente la fedeltà di Dio - si preoccupa di ricordare che di questa fedeltà non si può abusare. La bontà di Dio non deve
tramutarsi in una sicurezza scontata. La fedeltà di Dio non disimpegna dalla conversione. Tutt’altro.
La salvezza - che è esclusivamente dono di Dio - è vicina. Israele ha capito per tempo che la pienezza della salvezza è un dono continuamente differito, fino a concludere che la pienezza della
salvezza è oltre la storia. Ma non ha sempre ricordato che la salvezza non è mai solo futura: è anche vicina, un fatto dell’oggi, non soltanto di un lontano futuro. Certo occorrono delle
condizioni - il ritorno a Dio con tutto il cuore e il timore di Dio - ma sono condizioni possibili. Come la pace, così anche salvezza è una parola globale, e anche generica, e allora il salmista
la stempera in una descrizione più analitica. Comprende (al primo posto) una rinnovata presenza di Dio (“La sua gloria abiterà nella nostra terra”). Poi tutta una serie di relazioni che sono
contemporaneamente dell’uomo con Dio e degli uomini fra loro, e che sono altrettanti modi di imitare il comportamento di Dio stesso (ricorrono, infatti, gli stessi vocaboli che scrivono l’azione
di Dio): misericordia e fedeltà, pace e giustizia, rettitudine.
Concludo la lettura con un’annotazione generale importante. Alla base del salmo c’è un modo preciso di leggere i fatti e di valutarli. Israele non legge i fatti della propria storia semplicemente
in se stessi, o nelle loro immediate connessioni. In tal caso si resterebbe alla superficie delle cose: le guerre verrebbero semplicemente attribuite a un gioco politico e le carestie alla
fatalità della natura. Israele interpreta invece i fatti e li valuta in una prospettiva differente. Ne fa una lettura religiosa, e qui sta il suo grande merito. Letti religiosamente, appare che
la radice della situazione sociale, politica e religiosa che angoscia il popolo è il peccato; che per risolvere la situazione occorrono anzitutto la conversione dell’uomo e il perdono di Dio;
che, in ogni caso, la speranza non deve mai venir meno perché Dio è fedele e pronto al perdono e mantiene sempre aperte tutte le possibilità.