salmi penitenziali (7)

 

SALMO 143(142)

 

 

 

È una supplica individuale di un perseguitato e di un oppresso, il quale ripone più fiducia nella propria “preghiera” che nel giudizio. Si sente innocente rispetto ai suoi nemici, non però certo della propria giustizia di fronte a Dio. A lui perciò si appella, perché può perdonare, facendo prevalere il proprio amore (hesed), dono del mattino , sui propri diritti.

 

Il salmo contiene una preghiera introduttiva (vv. 1-6) e una supplica pressante in due strofe (vv. 7-12). Nel suo cammino verso Dio l’orante percorre tre tappe: attraverso la lettura delle sue opere (v. 5) è spinto all’incontro con lui (volto e amore, vv. 7-8), penetrando nel segreto della sua vita (volere, spirito e nome del Signore, vv.10-11).

 

San Paolo cita il v. 2 in contesti teologici fondamentali (Rm 3,20; Gal 2,16).

 

La chiesa dall’antichità considera questa preghiera come il settimo dei salmi penitenziali.

 

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1 Salmo. Di Davide.

 

1S/ Signore, ascolta la mia preghiera! Per la tua fedeltà, porgi   l’orecchio alle mie suppliche e per la tua giustizia rispondimi. 2 Non entrare in giudizio con il tuo servo: davanti a te nessun vivente è giusto. 3 Il nemico mi perseguita, calpesta a terra la mia vita; mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da gran tempo. 4 In me viene meno il respiro, dentro di me si raggela il mio cuore. 5 Ricordo i giorni passati, ripenso a tutte le tue azioni,  medito sulle opere delle tue mani. 6 A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra assetata.

 

2S/  7 Rispondimi presto, Signore: mi viene a mancare il respiro. Non nascondermi il tuo volto: che io non sia come chi scende nella fossa. 8 Al mattino fammi sentire il tuo amore, perché in te confido. Fammi conoscere la strada da percorrere, perché a te s’innalza l’anima mia. 9 Liberami dai miei nemici, Signore, in te mi rifugio. 10 Insegnami a fare la tua volontà, perché sei tu il mio Dio. Il tuo spirito buono mi guidi in una terra piana. 11 Per il tuo nome, Signore, fammi vivere; per la tua giustizia, liberami dall’angoscia. 12 Per la tua fedeltà stermina i miei nemici, distruggi quelli che opprimono la mia vita, perché io sono tuo servo.

 

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Il salmo 143 è una supplica. Come in altri salmi del genere, l’orante è un personaggio che riunisce in sé varie situazioni. Così il fedele che nel Tempio prega il salmo può trovarvi anche la propria. E se anche non è detta, può introdurvela senza difficoltà. E’ questo il pregio e il limite dei salmi di repertorio.

 

L’uomo del salmo ha molti motivi per rivolgersi al Signore. È  malato, forse in pericolo di morte. Il respiro si affievolisce e sembra venir meno, ripete due volte (vv. 4-7). Il cuore è agghiacciato, per due volte nomina la morte (vv. 3-7), schiacciato al suolo e nelle tenebre (v. 3).

 

È anche perseguitato da un nemico che lo calpesta (v. 3). E si sente sotto giudizio (v. 2): sotto il giudizio di Dio o in un processo davanti agli uomini? Non è facile dirlo. Quello che è chiaro è che questo uomo sotto giudizio non dichiara di essere un innocente: chi lo è davanti a Dio? Perciò invoca la grazia, non la giustizia. La via della stretta giustizia non gli darebbe alcuna speranza. Gli resta però aperta la via della misericordia, e a questa si aggrappa.

 

Come è giusto quando l’uomo, innocente o no, è in grave pericolo, il salmista si rivolge a Dio con parole forti e persino perentorie: ascolta, tendi l’orecchio, rispondimi, salvami, liberami. Tuttavia è davanti a Dio con umiltà. Non pretende, ma chiede. Non vanta qualcosa di suo, non vanta la sua innocenza o la sua giustizia. Si appella a quella di Dio, «Per la tua giustizia rispondimi» (v. 1). Non fa forza sulle sue qualità, neppure una, ma su quelle di Dio: giustizia, fedeltà, grazia, bontà: «Per amore del tuo nome, Signore, fammi vivere» (v. 11). Di suo il salmista ha soltanto il pericolo che attraversa e il suo protendersi, pieno di fiducia, verso il suo Dio: «A te protendo le mie mani, la mia anima anela a te come terra riarsa» (v. 6). Le mani e l’anima: tutta la persona è protesa verso Dio, come la terra riarsa desidera la pioggia.

 

Dio ha sempre tempo, può aspettare. Ma l’uomo no, il suo tempo è breve: «Rispondimi, Signore, fa presto» (v. 7).

 

«Non nascondermi il tuo volto» (v. 7): nascondere il volto significa rompere la relazione, e senza la relazione con Dio l’uomo muore («Perché non sia come chi scende nella fossa»). I salmisti non vedono la morte come un passaggio verso la vita con Dio, ma come la rottura di ogni relazione con lui. Per questo implorano accoratamente perché Dio non li abbandoni alla morte. Come dare loro torto?

 

A un certo punto, nel bel mezzo delle sue invocazioni, il salmista «ricorda, ripensa e medita» le opere e i prodigi compiuti da Dio nel passato (v. 5). Rimpianto o speranza?

 

Guardando in avanti il salmista chiede, poi, di essere istruito dal Signore: «Fammi conoscere la strada da percorrere» (v. 8); «Insegnami a compiere il tuo volere» (v. 10). Forse si accorge di essere uscito di strada e comprende che è tempo di riprendere con più decisione la strada giusta.

 

Dopo avere ancora una volta supplicato Dio di farlo vivere «per amore del tuo nome» (v. 11) e di farlo uscire dall’angoscia «per amore della tua giustizia», e dopo aver chiesto al Signore di annientare i nemici che lo opprimono, il salmista conclude ricordandogli il legame che li unisce: «Poiché sono il tuo servo». E’ la ragione più profonda («poiché») che dà all’orante il diritto di chiedere protezione al suo Signore. Servo e Signore, un rapporto di relazione e di alleanza: dal servo l’obbedienza, dal Signore la protezione.

 

DOSSOLOGIA

 

Quanti rende beati nel pianto

 

la passione di Cristo Signore

 

ora cantino insieme l'annuncio

 

che il suo Regno promesso già viene.

 

 

 

 

 

PREGHIAMO

 

Padre, tu sai che già crederti è difficile

 

e che più difficile ancora è sperare;

 

e noi sappiamo che da soli siamo perduti

 

poiché dall'uomo non viene salvezza:

 

Padre, aiutaci. Amen.

 

 

 

 

 

I MIEI GIORNI

 

I miei giorni camminano

 

davanti ai tuoi

 

e danno loro un senso.

 

Essi ti hanno strappato

 

alla tua dimora eterna

 

facendoti il primogenito

 

dei perduti.

 

Tu ora non sei

 

che un nostro fratello,

 

hai sofferto in te

 

ogni nostro dolore.

 

Noi ti sentiamo vicino nel tuo lamento

 

e nel tuo pianto sulla fossa di Lazzaro.

 

Ora la nostra carne non ti abbandona:

 

sei un Dio che si consuma in noi, un Dio che muore

 

(D.M. Turoldo)