BIBBIA, TRAMA NUZIALE
articolo di Ermes RONCHI
Luoghi dell’infinito - dicembre 2013, pag. 8-14
In che cosa crede il cristiano? A questa domanda la nostra mente s’infila spontaneamente tra i versetti del Credo: il Padre, il Figlio, lo Spirito, la Chiesa... San Giovanni evangelista invece formula una risposta nuova: “Noi abbiamo creduto l’amore che Dio ha in noi” (1 Gv 4,16). I discepoli di Gesù credono nell’amore. Non all’onnipotenza, all’eternità, alla perfezione, ma all’amore di Dio. E non solo amore per noi, di cui siamo oggetto, ma amore in noi, che s’incarna dentro ciò che ci fa persone, dentro il nostro respiro: Dio è l’amore in ogni amore. Non ci sono due amori, uno del cielo e uno della terra, ma un unico solo grande amore, che è “il mistero grande” (Ef 5,32).
Dio è amore, esclusivamente amore, tutto l’amore, e l’uomo fatto a immagine di Dio o è frammento d’amore o non è: “Se non ho l’amore non sono nulla” (1 Cor 13,2). Secondo san Tommaso d’Aquino amore è passione di unirsi, un desiderio di congiungersi che contiene in sé le vibrazioni dell’eros e quelle dell’agape, intreccio di passione e di dono. Una delle affermazioni più innovative di papa Benedetto XVI ci restituisce la rivelazione biblica di “un Dio in cui non c’è solo agape, amore che si dona, ma anche eros: attrazione, passione, gelosia”. Dio è tutto l’amore, immaginabile e inimmaginabile. Tracciamo qualche sfumatura di questa immensa tavolozza, attraverso sette icone.
Amore di sposo
La Bibbia racconta la storia di Dio e dell’uomo come si racconta una storia d’amore. Dall’"in principio" alla fine, il cuore segreto della Bibbia, ciò che sorregge tutta la Sacra Scrittura, è una trama nuziale. Dalla Genesi all’Apocalisse, è la forza che muove le creature l’una verso l’altra - “E i due saranno una carne sola” (Gen 2,24) - e che mette in cammino Dio verso le sue creature: è un’unica passione di unirsi, un sogno sponsale. L’eros (nella sua accezione alta) rimane la parabola più universale del sogno di Dio di cui è intrisa l’intera creazione (Davide M. Montagna). Il Cantico dei Cantici, i profeti, Gesù stesso (Mc 2,19-20) offrono la chiave riassuntiva dell’intero arco della storia della salvezza nella metafora nuziale tra Dio e l’uomo. Da quando Dio ti mette in vita, ti invita alle nozze con lui. Ognuno a suo modo sposo. Nei grandi mistici - dentro e fuori il cristianesimo - il momento più alto coincide con le nozze con Dio, quando la creatura vive due vite, la sua e quella dell’Amato, e le due fanno un fiume solo. L’immagine dello sposo convoca tutto un corteo festoso, fatto di slanci, di gioia, di quel “gustare la vita” (Sal 33,13), di quel piacere di vivere evocato dal salmo come il motore potente e quieto dell’esistenza.
La Bibbia si chiude con una visione nuziale: “La città scendeva dal cielo, bella come una sposa pronta per l’incontro d’amore” (Ap 21,2). L’ultima parola è desiderio: “E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!“ (Ap 22,17); il compimento finale è un abbraccio, l’unione con un “Dio che cade sul mondo come un bacio” (Benedetto Calati).
L’arco. L’amore di alleato
La storia sacra è la storia di due mendicanti: uno d’amore, che è Dio; l’altro ancora d’amore, ed è l’uomo. Dio si è messo in cammino, in cerca di comunione, e i suoi passi prendono forma d’alleanza appena il mondo riemerge dal diluvio: “Ecco il mio arco alla nube io l’ho dato,/ il segno del patto tra me e la terra,/ tra me, voi, e ogni essere vivente/ in ogni carne che è sulla terra” (Gen 9,12-16). Dio si disarma - ho dato il mio arco alla nube -; depone le armi, perché l’amore in tutte le sue forme arma e disarma. Dio si fa debole davanti alle sue creature e forte invece contro le acque del diluvio, le grandi acque della morte, che non verranno più a spegnere l’amore (cfr. Ct 8,7).
Il patto di Dio con il mondo è frutto di un amore che è unilaterale, non chiede niente in cambio; che è non selettivo, e stringe, per sette volte, un legame di vita con “ogni essere in cui è alito di vita, ogni essere vivente in ogni carne” (Gen 9,15-17): l’uomo, ma anche il volatile, il pesce, l’animale dell’arca, il piccolo insetto e il ramoscello d’olivo. Ciò che da allora vince la morte non è la vita, ma questo amore che salva ogni creatura sotto il sole.
La freccia. Amore di padre
La Genesi riferisce così la prima parola rivolta da Dio all’uomo: “Tu potrai di tutti gli alberi del giardino mangiare” (Gen 2,16). Si tratta di un comando che contiene anche un divieto (“di uno solo non mangerai”), ma all’interno di mille possibilità offerte: vivere è per la Bibbia un’esplorazione sulle frontiere del possibile, l’infinita gioia di esplorare possibilità. Dio è un Padre che dice prima di tutto "tu puoi" e non "tu devi", che si fa decreto di libertà, che non trattiene i suoi figli, ma li tende come frecce al suo arco e li invia perché vadano veloci e lontani, sulla traiettoria dell’oltre. Il Creatore ha fatto l’uomo non esecutore di ordini, ma inventore di strade.
“Amore vero è quello che ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare” (Rainer Maria Rilke). Amore di Padre è un "vai, tu puoi" detto a ogni figlio, freccia al suo arco. Amore di Padre è una forza che fa partire.
La danza. Amore di innamorato
“Il Signore esulterà di gioia per te, si rallegrerà per te con grida di gioia” (Sof 3,17). Il piccolo profeta Sofonia ha la visione di un Dio felice, che danza di gioia per l’uomo, che grida a me, a te, a ogni creatura: "Tu mi fai felice". L’uomo vivente non è solo la gloria di Dio (sant’lreneo) ma è anche la sua gioia. Mai Dio aveva gridato nella Bibbia. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, era venuto in forma di angeli e di sogni; solo qui, solo per amore, la parola si moltiplica in grido. Non per minaccia, solo per amore Dio grida: tu mi fai felice. Dio ha messo la sua felicità nelle nostre mani, come fa ogni innamorato.
Dopo aver intuito la danza dei cieli il profeta aggiunge: “Ti rinnoverà con il suo amore”: l’amore è una forza che rende nuova la vita, che là dove si era fermato fa ripartire il movimento della vita.
Il vaso spezzato: l’amore è amato
Una donna nella casa di Simone il fariseo, una donna il cui nome è per tutti "la peccatrice", per Gesù la donna che ha molto amato. Viene con un vaso di profumo, non con la cifra corrispondente da dare ai poveri, non a mani vuote, non con un discorso di belle parole, ma con un vaso di profumo, prezioso perché misto a lacrime. E il suo cuore si racconta davanti a tutti con il linguaggio delle carezze. Perché il corpo, quello di Gesù e il suo, altro non sono se non il luogo dove è detto il cuore (cfr. Lc 7,36-50). La casa si riempie di profumo e di gesti di tenerezza, gesti desiderati da Gesù (“Tu Simone non mi hai dato il bacio...”), "scandalosi", di una carica affettiva veemente - una donna scioglieva i capelli solo nell’intimità - compiuti da una donna senza parole che diventa profetessa. Peccatrice e profeta insieme rivelano quello che è, dalla fondazione del mondo, il sogno di Dio: “L’amore io voglio!” (Os 6,6).
Gesù, il Dio che vuole l’amore, nell’ultima sera ripeterà il gesto della peccatrice sconosciuta e innamorata, laverà i piedi dei suoi discepoli e li asciugherà. C’è qualcosa di grandioso in questo: Dio imita i gesti di una donna. Gesù fa suo il gesto di una peccatrice. Creatore e creatura, mendicanti d’amore, si incontrano nelle invenzioni del cuore. Quando ama, l’uomo compie gesti divini; e Dio, a sua volta, ama con cuore di carne.
La mangiatoia, la croce, il pane. Amore amante
A Betlemme ha fine l’esodo di Dio in cerca dell’uomo, quando la sua passione di unirsi inventa l’incarnazione, l’impensabile, la vertigine che segna un prima e un dopo nel conto degli anni. l’amore non ha protetto Dio, lo ha esposto consegnandolo alla precarietà della carne e perfino al rischio di essere rifiutato. “Privilegio divino è di essere non tanto l’amato quanto l’Amante” (C.S. Lewis).
“Maria partorì il suo figlio, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”. La madre avvolge e nutre il bambino di latte, di sogni e di carezze, lo stringe a sé e il piccolo “trova nel suo seno il paradiso perduto” (Maria Mascolini). Nel Bambino l’amante diventa amato, e vivrà solo perché una madre e un padre gli daranno il loro cuore; potrà essere felice, uomo realizzato, solo perché, a partire da loro, ha sperimentato l’amore.
Fasce e mangiatoia sono anche simboli che contengono un anticipo del Vangelo totale. In molte icone orientali della natività il Bambino è deposto in una culla che ha la forma di un sarcofago ed è avvolto in fasce come un defunto nelle bende della sepoltura: il mistero del Natale apre già sul mistero della Pasqua, il legno della mangiatoia evoca il legno della croce. Quel bambino è già il Cristo totale, nel suo destino di solidarietà assoluta con ogni carne, quando neppure il suo sangue ha tenuto per sé, neppure il suo respiro, neppure il suo corpo.
La passione di Dio di unirsi all’uomo giunge al culmine, e prosegue, ripresa da ogni eucaristia: il luogo dove l’Amante si trasforma in banchetto d’amore per l’amato, si fa pane, si lascia mangiare, scende in ogni fibra più riposta, diventa una stessa carne con l’amato. Adamo, profeta inconsapevole, l’aveva annunciato come obiettivo della prima e di ogni coppia nuziale: “Ora davvero sei carne della mia carne” (Gen 2,23).
Mi ami? Amore di mendicante
Tre sole domande, all’alba, attorno a un piccolo fuoco. Tre domande sempre uguali, ogni volta diverse: “Simone, mi ami più di tutti?”. Gesù usa il verbo dell’amore grande, totale, divino: “Agapas me?”. Pietro risponde con il verbo umile dell’amicizia e dell’affetto: “Ti voglio bene”, “Fileo se”. Nella seconda domanda, Gesù riduce le attese, cancella il confronto con gli altri: “Simone, mi ami?”. Pietro non osa la risposta dell’amore, si sente sicuro solo con il suo verbo sommesso: “Ti sono amico”. Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo raggiunge là dov’è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l’amore è troppo; amicizia, se l’amore ti mette paura. Pietro, mi sei amico? E mi basterà, perché il tuo desiderio di amore è già amore. Dio mendicante d’amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, con la sincerità del cuore.
Amare significa dire: tu non morirai. Dio è padre solo se ha figli vivi per sempre, se il loro legame è più forte della morte: “Né vita né morte, né angeli né demoni [...], nulla mai ci separerà dall’amore di Dio” (Rom 8,38-39). Nulla, mai: due parole totali, perfette, assolute. Nulla, e sono convocate tutte le creature del cielo, della terra, degli inferi; mai, ed è convocata tutta la storia, i secoli e gli istanti, nulla mai ci separerà. Il futuro è “inseparato amore”, il nome dell’uomo è “amato-per-sempre”.