L’INVIDIA DEI BENPENSANTI
4 Domenica di Quaresima - C
Introduzione
Ancora una riflessione sulla “conversione”. L’itinerario quaresimale ritorna continuamente sui medesimi temi. Una ripetitività che non è monotonia, ma meditazione. La liturgia sa che l’uomo è come un campo, che ha bisogno di tutta la fatica e la pazienza del contadino. Si buttano semi, che però germogliano lentamente. La legge fondamentale è la pazienza: si buttano semi, non alberi già fatti, non la fretta delle novità o di un falso efficientismo (la fretta di uno scopo da raggiungere subito), ma la lentezza della contemplazione, il tempo di assaporare la saggezza di una ripetitività che permetta alla Parola di scendere sempre più nel profondo. Non l’ansia delle molte cose, ma la volontà di assimilarle.
Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro, e questo gli procura critiche e mormorazioni. Luca usa tre volte nel suo Vangelo il verbo “mormorare”, e sempre a proposito di scribi e farisei che disapprovano il comportamento di Gesù nei confronti dei peccatori: quando Egli accetta l’invito del pubblicano Levi e banchetta con i pubblicani (5,30), e quando accetta l’invito di Zaccheo (19,7). Il nostro brano non allude a un fatto preciso, ma a un comportamento generale. Gesù frequenta pubblicani e peccatori abitualmente: una pastorale questa che non soltanto irrita scribi e farisei, ma che può continuare a suscitare disapprovazione anche fra i cristiani, come Luca stesso ci ricorda nel libro degli Atti degli Apostoli (11,13): Pietro ha accettato di recarsi nella casa del pagano Cornelio e dopo avergli annunciato il lieto messaggio lo battezza; al ritorno a Gerusalemme, Pietro è rimproverato da alcuni della comunità: «Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato con loro!».
Non è raro sembra lasciarci capire Luca che giusti e ben pensanti disapprovino la magnanimità del pastore che generosamente va in cerca della pecora smarrita: ne provano quasi irritazione e invidia. Il pastore non dovrebbe anzitutto occuparsi dei giusti? e non dovrebbe essere un po’ più guardingo nel concedere il suo perdono e nell’aprire le porte della propria casa? Invece no: nel discorso inaugurale di Nazaret Gesù aveva annunciato con chiarezza il suo programma, e ora lo sta realizzando. E’ un programma che tutta la comunità cristiana, e in particolare i suoi pastori, devono far proprio. E’ già un primo punto su cui giusti e benpensanti sono invitati a convertirsi: godere della generosità di Dio, dei propri pastori, non invece provarne irritazione e dispetto.
Ma ritorniamo alla lettura della parabola. Il racconto si divide in due parti, delimitati la prima dall’entrata in scena del figlio minore e la seconda dalla comparsa del figlio maggiore. Sui due figli campeggia però la figura del padre, che è indubbiamente il protagonista. E non si trascuri la presenza del ritornello «perduto e ritrovato», che conclude ciascuna delle due parti. Comunemente diciamo la “parabola del prodigo”, ma sarebbe più giusto dire “la parabola dei due fratelli”, o meglio ancora la “parabola del padre misericordioso”.
Se prendiamo in considerazione il comportamento del protagonista presente sulla scena dall’inizio alla fine cioè il Padre notiamo allora subito un fatto: il Padre non cessa di amare il figlio che si è allontanato, e continua ad attenderlo, e quando ritorna gioisce profondamente e vuole che tutti - compreso il figlio maggiore - condividano la sua gioia. Il tema centrale della parabola è appunto questo: l’amore del Padre. A lui non interessa che il figlio gli abbia dissipato il patrimonio: ciò che lo addolora è che il figlio sia lontano, a disagio. E quando ritorna non bada neppure alle sue parole («trattami come uno dei tuoi servi»): importante è che abbia capito e sia tornato. E’ questo il volto del vero Dio (un volto che Gesù ha imitato nella sua prassi apostolica), un volto molto diverso da come scribi e farisei supponevano e come giusti e benpensanti alle volte continuano a supporre.
Se invece prendiamo in considerazione la figura del figlio minore, allora ci accorgiamo che la cosa peggiore non è il fatto che abbia chiesto la sua parte di eredità e l’abbia poi dissipata lontano da casa in una vita libertina. Tutto questo non è che la conseguenza di una convinzione che viene prima, e cioè la convinzione che la casa sia una prigione, la presenza del padre ingombrante e mortificante, e l’allontanamento da casa una libertà. Questo è il vero peccato del figlio minore, la radice di tutte le sue infedeltà. E il suo ritorno a casa motivato all’inizio dal disagio («io qui muoio di fame») trova il suo culmine non nel proposito di lavorare come un salariato per riparare il danno, ma semplicemente nell’aver capito che in casa si sta meglio e che fuori si sta peggio. Questo è infatti ciò che il Padre voleva: null’altro.
Ma a questo punto dobbiamo rileggere una terza volta la parabola dal punto di vista del figlio maggiore. Anziché condividere la gioia del Padre, ne prova invidia: «Ecco, ti servo da tanti anni e non mi hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici». E’ un figlio rimasto in casa, è vero, ma dalla sua reazione si intuisce che - come gli scribi e i farisei - anch’egli pensa che il peccato sia consistito nel dilapidare le sostanze, e non invece nel fatto di essersi allontanato da casa. E’ rimasto in casa, è vero, ma anch’egli ragiona come il figlio minore che invece se n’è allontanato. E’ in casa, ma con l’animo del mercenario, convinto che lo stare in casa sia fatica, sacrificio, convinto anch’egli che fuori si sta meglio. E’ un figlio in apparenza fedele, ma in realtà incapace di condividere la gioia del Padre, perché non vede nel fratello che si è allontanato un povero da salvare, ma - semmai - un fortunato da punire. Non si sente figlio, grato e gioioso di essere in casa, già premiato per il fatto di essere in casa: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo».
Dicevamo, introducendoci alla lettura di questo passo evangelico, che il tema è la conversione. E questo è vero. La conversione è qui vista come un ritorno a casa. Non è un prezzo da pagare non sta lì, per lo meno, il nocciolo della questione - ma una mentalità da cambiare: capire, in altre parole, che la presenza di Dio e la fedeltà alla sua legge sono un fatto liberante e costruttivo. Chi ha capito questo - e si è, dunque, convertito - non è invidioso del ritorno degli altri, non è geloso del perdono del Padre: lo condivide in pieno.
IL MISTERO DELLA QUARESIMA
riflessione di un parroco
La Quaresima è la celebrazione del mistero di quel “viaggio”, che il Signore intraprese “con decisione” verso Gerusalemme, salendo il “santo monte della sua Pasqua”. “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9, 51). Tale viaggio è sottolineato dalla liturgia nell’antifona al cantico dei Secondi Vespri della prima domenica di Quaresima:“Ora saliamo a Gerusalemme:si compiranno nel Figlio dell’uomo le parole dei profeti”. Questo mistero è contenuto e celebrato nel tempo dei “quaranta giorni”, prefigurati nell’Antico Testamento, e che già il Signore stesso visse nel deserto all’inizio della sua vita pubblica, dove anticipò quella lotta e quella vittoria, che, nell’“ora” imminente della sua gloriosa passione, saranno piene e definitive. Ecco perché “l’annuale cammino di penitenza della Quaresima è il tempo di grazia, durante il quale si sale al monte santo della Pasqua”.
Tre sono le realtà che dominano lo scenario quaresimale: il Battesimo, la Croce, la Penitenza. Quest’anno la liturgia domenicale (Anno C) privilegia l’aspetto penitenziale. Ecco alcune riflessioni.
LA PENITENZA: La Quaresima è il tempo della riconciliazione con Dio, mediante la conversione del cuore, la confessione delle proprie colpe e la penitenza. La liturgia del Mercoledì delle Ceneri richiama alla riconciliazione con le parole dell’Apostolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”... “Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2Cor 5,20.6,2).
* La penitenza nella testimonianza del Signore: Il Signore “consacrò l’istituzione del tempo penitenziale con il digiuno di quaranta giorni, e vincendo le insidie dell’antico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato” con le armi della penitenza, della preghiera e del digiuno. Egli in tutta la sua vita non ebbe dove posare il capo “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Nel suo viaggio verso Gerusalemme dovette accettare l’abbandono delle folle che protestavano: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?” (Gv 6,60). L’incomprensione ripetuta dei suoi discepoli giunge al punto che Gesù dovette interpellarli “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 60). Per rimanere fedele alla volontà del Padre e per la nostra redenzione Gesù accettò il tradimento, le umiliazioni fino alle sofferenze della Passione e alla Morte di Croce. “Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio; e tu pretendi per te riposo e gaudio?”.
* I discepoli sono invitati alla penitenza: anche ai discepoli il Signore raccomanda: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione” (Mt 7, 13) e ancora “se non vi convertite perirete tutti” (Lc 13, 3). Il ”grido” del Signore alla conversione e alla penitenza assume un carattere drammatico quando, ormai in vista di Gerusalemme, piange su di essa esclamando: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa vi viene lasciata deserta! (Lc 13, 34-35). Infine, dopo aver compiuto tutto quello che era necessario per la nostra salvezza mediante la sua “sofferenza vicaria”, con voce agonizzante sulla croce invoca: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34) offrendo ai penitenti di tutti i secoli l’assoluzione dei loro peccati.
* La Chiesa fa penitenza: nella luce di così grandi misteri la Chiesa, imponendo l’austero simbolo delle ceneri sul capo dei fedeli, li invita a riconoscersi peccatori e a convertirsi:“Ricordati che sei polvere e - a causa del peccato- in polvere tornerai”; quindi, se vuoi avere la vita, “convertiti e credi al Vangelo”. Così la madre Chiesa fa eco alle parole del Signore e conduce i suoi figli ad intraprendere un cammino di penitenza, di lotta spirituale, di ascesi per abbandonare il peccato e vivere “nella libertà dei figli di Dio”, perché “Non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole” (2Tm 2, 5). La Quaresima è, per così dire, il cammino a ritroso del “figliol prodigo” verso la casa paterna, viaggio che esprime tutti gli elementi essenziali per la celebrazione sacramentale della riconciliazione:
- esame di coscienza: “Allora rientrò in se stesso...”
- contrizione: “Mi leverò e andrò da mio padre...”
- penitenza: “Partì e si incamminò verso suo padre...”
- confessione: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te...”
- assoluzione: “Presto portate qui il vestito più bello...” (Lc 15, 11-32).
* Il sacramento della penitenza e le celebrazioni penitenziali: “Si raccomandi ai fedeli una più intensa e fruttuosa partecipazione alla liturgia quaresimale e alle celebrazioni penitenziali. Si raccomandi loro soprattutto di accostarsi in questo tempo al Sacramento della Penitenza secondo la legge e le tradizioni della Chiesa, per poter partecipare con animo purificato ai misteri pasquali”. L’impegno penitenziale della Chiesa oltre che essere delineato nel Lezionario festivo,si esprime in concrete celebrazioni: nel rito della imposizione delle ceneri e nell’atto penitenziale della Messa che in questo tempo assume una singolare importanza. Raggiunge il vertice nella solenne celebrazione penitenziale al termine della Quaresima che, mentre riassume l’itinerario penitenziale, predispone alla celebrazione sacramentale della Riconciliazione.
“E’ opportuno che il tempo quaresimale venga concluso, sia per i singoli fedeli che per tutta la comunità cristiana, con una celebrazione penitenziale per prepararsi a una più intensa partecipazione del mistero pasquale”. La Chiesa ripetutamente grida con forza a se stessa: “Gerusalemme, Gerusalemme, convertiti al Signore tuo Dio”. Che questa conversione sia effettiva e ponga sulle nostre labbra l’espressione del pentimento che uscì dalla bocca agonizzante del buon ladrone: “Ricordati di me, Signore, quando entrerai nel tuo regno!” (Lc 23, 42) e il nostro cuore si sciolga nella gioia del perdono ritrovato e dica con Pietro “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti voglio bene” (Gv 21,17).
PREGHIERA PER LA QUARESIMA 2013
Signore, tu ci insegni che non dobbiamo pregare come gli ipocriti
per farci vedere dalla gente.
Ci inviti ad entrare nella camera, a chiudere la porta
e a pregare il Padre nel segreto.
E il Padre, che è Padre nostro e vede nel segreto, ci ricompenserà.
Signore, tu ci insegni che non dobbiamo digiunare
nella tristezza e nella malinconia per farci vedere dalla gente.
Ci inviti a profumarci la testa e a lavarci il volto
per essere ammirati dal Padre nel segreto
e per presentare un cristianesimo bello, gioioso e attraente.
Signore, tu ci insegni a non accumulare tesori sulla terra
dove operano la ruggine e i ladri,
che vengono a rovinare e derubare la nostra vita.
Ci inviti ad accumulare, donando, tesori nel cielo,
dove il Signore tutto custodisce
e ci ricordi che il nostro cuore abita dove si trova il tesoro.
Ti preghiamo: accompagnaci nel tempo quaresimale ad essere
forti e pazienti per vincere il male,
e giungere, rinnovati da Te, nel giardino della Risurrezione. Amen!